Con sentenza n. 18678/2014 la Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento di un lavoratore che – così come risultato dalle deposizioni dei colleghi di lavoro all’esito dell’istruttoria svolta nei precedenti gradi di giudizio – comunicava le assenze per malattia ‘all’ultimo peraltro, di norma, gli eventi morbosi si manifestavano «quando doveva affrontare il turno di fine settimana o il turno notturno» con conseguente «difficoltà, proprio per i tempi particolarmente ristretti, di trovare un sostituto». Una condotta che ha causato gravissime disfunzioni per l’organizzazione produttiva dell’impresa datrice di lavoro. Confermando la correttezza della sentenza resa in appello, i giudici di legittimità escludono, innanzitutto, la fondatezza della tesi del lavoratore, secondo cui il recesso doveva essere censurato poiché egli non aveva superato il periodo di comporto, previsto dall’articolo 2110 del Codice civile ovvero dalla contrattazione collettiva applicabile. Evidenzia, infatti, la sentenza che «le assenze del lavoratore, dovute a malattia, vengono in rilievo sotto un diverso profilo», poiché «per le modalità con cui (…) si verificavano (…) le stesse davano luogo a una prestazione lavorativa non sufficientemente e proficuamente utilizzabile dalla società, rivelandosi la stessa inadeguata sotto il profilo produttivo e pregiudizievole per l’organizzazione aziendale così da giustificare il provvedimento risolutorio». Sì che la Corte si concentra sul concetto di «scarso rendimento», vale a dire sulla conseguenza della condotta del dipendente, il quale, violando le regole della diligenza nell’esecuzione della prestazione, non adempia esattamente l’obbligazione lavorativa. Si tratta, forse, di un riferimento atecnico, poiché nel caso esaminato la prestazione del dipendente sarebbe divenuta scarsa proprio in conseguenza delle ripetute assenze, peraltro susseguitesi a brevi intervalli di tempo l’una dall’altra; potremmo parlare, però, di ampliamento del principio dello “scarso rendimento”.
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