Con l’interpello n. 23 del 15 settembre 2014, il Ministero del lavoro fornisce chiarimenti circa la corretta interpretazione dell’art. 42, D.Lgs. n. 151/2001, concernente la disciplina del congedo per assistenza disabili in situazione di gravità.
La legge n. 104/92 del 5 febbraio 1992 definisce all’art. 3 comma 3 lo stato di “handicap in situazione di gravità” che si verifica allorquando la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l’autonomia personale, correlata all’età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione.
In tali casi l’art. 42, comma 5, del D.Lgs. n. 151/2001 riconosce al coniuge convivente del soggetto con handicap in situazione di gravità il diritto a fruire di un periodo di congedo continuativo o frazionato, non superiore a due anni, con conservazione del posto di lavoro.
In caso di mancanza, decesso o patologie del coniuge convivente, il congedo spetta ad ulteriori categorie di soggetti, con il seguente ordine di priorità:
– il padre o la madre anche adottivi;
– uno dei figli conviventi;
– uno dei fratelli o sorelle conviventi.
L’Inps ha chiarito che i genitori naturali o adottivi e affidatari del disabile hanno titolo a fruire del congedo solo nella misura in cui si verifichi una delle seguenti condizioni:
– il figlio – portatore di handicap – non sia coniugato o non conviva con il coniuge;
– il coniuge del figlio non presti attività lavorativa o sia lavoratore autonomo;
– il coniuge del figlio abbia espressamente rinunciato a godere per lo stesso soggetto e nei medesimi periodi del congedo in esame.
Di conseguenza, nell’ipotesi in cui il disabile non risulti coniugato o non conviva con il coniuge, ovvero quest’ultimo abbia effettuato espressa rinuncia nei termini previsti, la disciplina prevede che il genitore non convivente possa beneficiare del periodo di congedo, anche laddove possa essere garantita idonea assistenza da parte di un convivente.