La Corte di Cassazione, con sentenza numero 15652 del 14 giugno 2018, ha deciso un ricorso in materia di retribuzione di ferie non godute da parte di un lavoratore dipendenze stabilendo che non si ha perdita automatica, per il lavoratore, delle ferie annuali retribuite spettanti (nonché del diritto all’indennità finanziaria per quelle non godute) per il solo fatto di non averle chieste prima della cessazione del rapporto di lavoro.
Ricordiamo che il diritto alle ferie risponde alla finalità di assicurare ai lavoratori subordinati un periodo di riposo nel corso dell’anno, durante il quale reintegrare le proprie energie psico-fisiche.
Trattasi, dunque, di un diritto irrinunciabile così come stabilito dall’art. 36 comma terzo della Costituzione, che spetta nella misura minima di 4 settimane da godere per almeno due settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nel corso dell’anno di maturazione e, per le restanti due settimane, entro i 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione (art. 10 c. 1 D.Lgs. 66/2003).
Il datore di lavoro che viola la disposizione dell’art. 10, comma 1, D.Lgs. n. 66/2003 è punito con la sanzione amministrativa da 100 euro a 600 euro. Se la violazione si riferisce a più di cinque lavoratori ovvero si è verificata in almeno due anni, la sanzione amministrativa è da 400 euro a 1.500 euro. Se la violazione si riferisce a più di dieci lavoratori ovvero si è verificata in almeno quattro anni, la sanzione amministrativa è da 800 euro a 4.500 euro e non è ammesso il pagamento della sanzione in misura ridotta. La sanzione in parola non si applica, in quanto il datore di lavoro non è ritenuto responsabile, nell’ipotesi in cui non sia possibile rispettare il periodo minimo di due settimane di ferie (ovvero il diverso periodo previsto dalla contrattazione collettiva) nell’anno di maturazione, per cause imputabili esclusivamente al lavoratore, es. assenze prolungate per maternità, malattia, infortunio, servizio civile ecc.
Cosa succede se il prestatore non utilizza i giorni di ferie che gli spettano di diritto?
In virtù del fatto che la fruizione delle ferie deve essere considerata come un diritto irrinunciabile, non è possibile monetizzare i giorni di ferie non goduti entro i termini previsti dalla legge, ovvero:
– il periodo di almeno due settimane, da fruirsi in modo ininterrotto nel corso dell’anno di maturazione,;
– il secondo periodo di due settimane, da fruirsi anche in modo frazionato ma entro 18 mesi dal termine dell’anno di maturazione, salvi i più ampi periodi di differimento stabiliti dalla contrattazione collettiva.
Solo l’eventuale terzo periodo, superiore al minimo di 4 settimane stabilito dal decreto, potrà essere fruito anche in modo frazionato ma entro il termine stabilito dall’autonomia privata dal momento della maturazione e può essere monetizzato.
Resta ferma la possibilità di monetizzare le ferie complessivamente non godute alla cessazione del rapporto di lavoro.
Ricordiamo che la retribuzione da prendere come riferimento è quella in atto nel periodo di mancato godimento delle ferie o in vigore al momento del pagamento; mentre con riferimento al caso di ferie residue al momento della cessazione del rapporto avvenuta in corso d’anno, la retribuzione che va presa come riferimento è quella in atto alla cessazione del rapporto.
In considerazione del carattere imperativo del diritto alle ferie annuali retribuite, il datore di lavoro è tenuto ad assicurarsi concretamente e in piena trasparenza che il lavoratore sia effettivamente in grado di fruire delle ferie annuali retribuite, invitandolo, se necessario formalmente, a farlo, e nel contempo informandolo del fatto che, se egli non ne fruisce, le ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato o, ancora, alla cessazione del rapporto di lavoro se quest’ultima si verifica nel corso di un simile periodo. L’argomento è stato affrontato dalla Corte di Giustizia UE interpellata nella causa n. C-619/16 per chiarire alcuni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, secondo la quale se il datore di lavoro è in grado di provare di aver invitato il dipendente a godere del periodo di ferie spettante e risulti quindi che il lavoratore, deliberatamente e con piena cognizione delle conseguenze che ne sarebbero derivate, si è astenuto dal fruirne dopo essere stato posto in condizione di esercitare in modo effettivo il suo diritto alle medesime, il lavoratore perderà tale diritto e, in caso di cessazione del rapporto di lavoro, alla correlata indennità finanziaria per le ferie annuali retribuite non godute.