Superati i co.co.pro. anche grazie alla sanatoria per i datori di lavoro. Dall’entrata in vigore del decreto non potranno essere più attivati co.co.pro. Per i contratti già in essere, i rapporti di lavoro proseguiranno alle stesse condizioni fino alla loro naturale scadenza. A partire dal 1° gennaio 2016 alle collaborazioni “camuffate“, cioè quelle organizzate dal committente, sarà applicata la disciplina del lavoro subordinato. Si tratta di quei “rapporti di collaborazione che si concretino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative, di contenuto ripetitivo e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”.
I contratti di collaborazione anche a progetto restano vigenti soltanto per le:
- collaborazioni per le quali gli accordi collettivi stipulati dalle confederazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore;
- collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali;
- attività prestate nell’esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni;
- prestazioni di lavoro rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I. come individuati e disciplinati dall’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289.
Per promuovere il passaggio dalle collaborazioni a contratti a tempo indeterminato, entro il 31 dicembre 2015, il decreto prevede una sorta di sanatoria per i datori di lavoro che abbiano imposto collaborazioni “fasulle” con estinzione delle violazioni previste dalle disposizioni in materia di obblighi contributivi, assicurativi e fiscali connessi alla eventuale erronea qualificazione del rapporto di lavoro pregresso.
Aboliti associazione in partecipazione e job sharing. Il decreto ha abolito due forme contrattuali. La prima è l’associazione in partecipazione, quella in cui l’imprenditore si accorda con uno o più soggetti che svolgono la propria attività lavorativa e sono ricompensati con una partecipazione agli utili dell’impresa. I vecchi contratti restano fino alla loro naturale scadenza.
Cancellato anche il contratto di lavoro ripartito, comunemente detto “job sharing“, secondo il quale due persone si dividono consensualmente lo stesso posto di lavoro, assumendosi in solido l’adempimento di un’unica e identica obbligazione lavorativa.
Non solo demansionamento: con “accordi individuali” sarà possibile anche ridurre lo stipendio – In caso di “modifica degli assetti organizzativi aziendali” il lavoratore può essere assegnato a mansioni di un livello inferiore rispetto a quello per cui era stato assunto, mantenendo lo stesso livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento, fatta eccezione per gli elementi retributivi collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa.
Possono inoltre “essere stipulati accordi individuali assistiti (cioè sottoscritti in sede sindacale o presso la Direzione Territoriale del Lavoro) di modifica delle mansioni, del livello di inquadramento e della relativa retribuzione, in tre casi specifici: per evitare il licenziamento, per l’acquisizione di una diversa professionalità o per il miglioramento delle condizioni di vita.
Art. 18. La nuova normativa sul contratto a tutele crescenti è valida solo per i nuovi contratti stipulati a partire dalla sua entrata in vigore, il che crea un “doppio binario” tra vecchi e nuovi assunti. A questi si aggiungono quanti rientrano “nei casi di conversione, successiva all’entrata in vigore del decreto, di contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato”. La norma sarà valida anche per i licenziamenti collettivi.
In caso di licenziamento illegittimo, quindi, il lavoratore sarà indennizzato in base all’anzianità di servizio (due mensilità per ogni anno di lavoro, da un minimo di 4 a un massimo di 24 mesi, aziende con più di 15 dipendenti; una mensilità per ogni anno di lavoro da un minimo di 2 a un massimo di 6 mensilità, aziende con meno di 15 dipendenti), mentre la reintegra sarà prevista esclusivamente per i licenziamenti nulli, discriminatori e in un solo caso di provvedimento disciplinare, cioè quando non sussiste il fatto materiale di cui è accusato il dipendente.
Confermati i nuovi ammortizzatori sociali: Naspi, Asdi, Dis-coll. La Naspi, cioè Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego, va a sostituire gli attuali sussidi di disoccupazione, cioè Aspi e mini Aspi. L’importo della Naspi è rapportato alla retribuzione imponibile ai fini previdenziali degli ultimi quattro anni. L’indennità mensile è pari al 75% dello stipendio, se questo è pari o inferiore a 1.195 euro nel 2015, rivalutati annualmente. Se l’importo dello stipendio è superiore, l’indennità Naspi potrà crescere fino a un massimo di 1.300 euro.
L’Asdi (Assegno di disoccupazione) è invece destinata a quanti nell’anno 2015 abbiano esaurito la Naspi e si ritrovino ancora senza lavoro e in gravi difficoltà economiche. L’Asdi sarà erogato per una durata massima di sei mesi e sarà pari al 75% dell’ultimo trattamento percepito ai fini della Naspi.
La Dis-coll interessa infine i nuovi eventi di disoccupazione dal 1 gennaio 2015 e sino al 31 dicembre 2015: sarà riconosciuta ai collaboratori coordinati e continuativi e a progetto, iscritti in via esclusiva alla Gestione separata, non pensionati e privi di partita Iva. L’assegno sarà erogato a quanti possano far valere almeno tre mesi di contribuzione dal primo gennaio dell’anno solare precedente. La Dis-coll sarà pari al 75 per cento del reddito percepito nei casi in cui sia pari o inferiore nel 2015 all’importo di 1.195 euro mensili, una cifra che poi sarà annualmente rivalutata. Nei casi in cui il reddito sia superiore, l’indennità cresce, ma senza superare l’importo massimo mensile di 1300 euro nel 2015.