Il comma 1, lett. d) dell’art. 16 T.U. sulla maternità/paternità prevede il divieto di adibire al lavoro le donne:
a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto, salva l’ipotesi di applicazione della flessibilità (1+4 mesi post partum);
b) ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto;
c) durante i tre mesi dopo il parto (ovvero 4 mesi post partum in caso di flessibilità);
d) durante i giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta. Tali giorni si aggiungono al periodo di congedo di maternità dopo il parto, anche qualora la somma dei periodi di cui alle lettere a) e c) superi il limite complessivo di cinque mesi.
La riforma in esame interessa le lavoratrici dipendenti e le lavoratrici iscritte alla Gestione separata e riguarda, in particolare, i casi di parti “fortemente” prematuri da intendersi con tale accezione quelli che si verificano prima dei 2 mesi antecedenti alla data presunta del parto(cioè prima dell’inizio del congedo ordinario ex lett. a dell’art. 16 cit.).
Rispetto a questi parti, la disciplina previgente prevedeva un congedo di maternità coincidente con i 5 mesi successivi al giorno del parto (circ. 45/2000, par. B e C).
Con la riforma della lett. d) dell’art. 16 T.U., invece, il congedo si calcola aggiungendo ai 3 mesi post partum ex lett. c) dell’art. 16 cit. tutti i giorni compresi tra la data del parto fortemente prematuro e la data presunta del parto, risultando così di durata complessivamente maggiore rispetto al periodo di 5 mesi precedentemente previsto.
E’ bene precisare che la riforma in esame non comporta di fatto variazioni nei casi in cui il parto prematuro si verifichi all’interno dei due mesi ante partum, ossia quando il congedo obbligatorio ante partum è già iniziato: per tali eventi infatti il congedo post partum risulta coincidente, come in precedenza, con i 3 mesi dopo il parto ai quali vanno aggiunti i giorni di congedo ante partum non goduti. Inoltre, in tali casi, se la lavoratrice ha un provvedimento di interdizione prorogata, i giorni di congedo obbligatorio ante partum non fruiti si aggiungono al termine dei 7 mesi dopo il parto.
Analogamente, nei casi di parto fortemente prematuro, qualora la lavoratrice abbia un provvedimento di interdizione prorogata dal lavoro per incompatibilità con le mansioni ai sensi degli artt. 6 e 7 del T.U., si aggiungono al termine del periodo di interdizione prorogata tutti i giorni compresi tra la data del parto e la data presunta del parto.
La circolare INPS n. 69 del 28 aprile 2016 fornisce chiarimenti in ordine all’ipotesi di sospensione del congedo di maternità in caso di ricovero del neonato in una struttura pubblica o privata e di ripresa del congedo, in tutto o in parte, dalla data di dimissione del bambino.
La lavoratrice può optare per tale sospensione a prescindere dal motivo del ricovero del neonato, sempre subordinatamente alla compatibilità delle condizioni di salute con la ripresa del lavoro. Inoltre, la sospensione è esercitabile anche in caso di:
- ricovero di minore adottato/affidato per effetto della riforma dell’art. 26 TU;
- per i parti o gli ingressi in Italia o in famiglia (in caso di adozioni/affidamenti) verificatisi dal 25 giugno 2015.
La lavoratrice può optare per la sospensione del congedo post partum una sola volta per ogni figlio.
Ai fini della sospensione del congedo, la lavoratrice interessata è tenuta a comprovare al datore di lavoro l’avvenuto ricovero del neonato nella struttura pubblica o privata nonché a produrre attestazione medica che dichiara la compatibilità del proprio stato di salute con la ripresa dell’attività lavorativa.
Si rammenta che durante i periodi di congedo di maternità indicati all’art. 16 del T.U, è fatto divieto al datore di lavoro di adibire la lavoratrice al lavoro, pena l’arresto fino a 6 mesi (art. 18 T.U.); pertanto, in assenza della predetta attestazione preventiva non è consentito l’esercizio della sospensione del congedo e quindi il rientro a lavoro dell’interessata.
Qualora la lavoratrice riprendesse l’attività lavorativa senza acquisire preventivamente l’attestazione medica, si configurerebbe una illecita permanenza al lavoro della lavoratrice stessa con conseguente perdita del diritto al congedo ed alla relativa indennità per un numero di giorni equivalenti alla indebita permanenza al lavoro (art. 22 del d.p.r 1026/1976). In tale caso, infatti, i giorni lavorati tra la data di sospensione e la data dell’attestazione non possono essere computati ed indennizzati nel periodo di congedo residuo il quale di fatto risulterà, complessivamente, di durata inferiore rispetto al periodo residuo teoricamente spettante.
Si precisa che la lavoratrice non può sospendere il congedo di maternità in presenza di un provvedimento di interdizione prorogata dal lavoro per incompatibilità con le mansioni; si rammenta che tali provvedimenti di interdizione possono essere disposti dalla DTL dopo che il datore di lavoro ha valutato la possibilità di adibire la lavoratrice ad altre mansioni (art. 7 comma 6 del d.lgs. 151/2001).
In ordine alla liquidazione dell’indennità giornaliera, si precisa che la misura dell’indennità giornaliera, individuata per indennizzare la prima parte del congedo, ai sensi dell’art. 23 T.U., è valevole anche per l’indennizzo del periodo residuo di congedo fruito in un secondo momento.
Al fine di consentire all’Istituto le verifiche di competenza, la lavoratrice deve tempestivamente comunicare alla Struttura territoriale Inps, tramite posta elettronica certificata o, in mancanza, in modalità cartacea, la data di sospensione del congedo di maternità e la data di ripresa del congedo residuo, onde evitare il pagamento di indennità di maternità nei giorni di ripresa dell’attività.
Infine, l’Inps ribadisce che conservare l’indennità di maternità oltre la data del licenziamento è un diritto della lavoratrice licenziata per colpa grave (art. 24 TU).