imagesCUM3VWT7Con l’art. 30 della legge Europea 2016 (legge n. 122/2016), in vigore dal 23 luglio 2016, il legislatore modificando il comma 3 dell’art. 29 del D.Lgs. 276/2003 ha chiarito alcuni aspetti relativi al discrimine tra appalto e trasferimento d’azienda, al fine di rendere effettiva la tutela dei diritti dei lavoratori a seguito di subentro di un imprenditore ad un altro nella gestione di uno specifico servizio.

In particolare, la legge Europea 2016 ratifica a livello normativo nazionale la regola secondo cui la successione nell’appalto configura un trasferimento d’azienda se, oltre al passaggio di personale, si verifichi una cessione di beni non irrilevante. Inoltre, la configurabilità del trasferimento d’azienda è esclusa solo se l’appaltatore risulti dotato di una propria struttura organizzativa e operativa e siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità d’impresa.

L’intervento si deve a una procedura di pre-infrazione avviata dalla Commissione Europea nei confronti dell’Italia. Infatti, secondo le istituzioni comunitarie, la disciplina italiana sul cambio d’appalto contenuta nel vecchio testo violava le tutele minime comunitarie sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al trattamento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti d’imprese. Pertanto, la Commissione ha chiesto formalmente al governo di esplicitare la regola che la successione nell’appalto configura un trasferimento d’azienda laddove, oltre al passaggio di personale, si verifichi una cessione di beni non irrilevante.

Si ricorda al proposito che la previgente normativa prevedeva che “l’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d’appalto, non costituisce trasferimento d’azienda o parte d’azienda”. Si escludeva, pertanto, radicalmente l’ipotesi del trasferimento d’azienda laddove l’impresa subentrante in un appalto avesse assunto i dipendenti già impegnati dall’appaltatore uscente.

Tuttavia, secondo la giurisprudenza di legittimità, occorreva comunque applicare le garanzie legali ex art. 2112 c.c. (mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda) quando il passaggio d’appalto non si limitava all’assunzione dei lavoratori già impiegati nell’appalto medesimo ma implicava anche il passaggio di beni di non trascurabile entità, tali da poter parlare di passaggio di una vera e propria organizzazione economica.

La modifica introdotta nel 2016, invece, prevede già i due elementi di novità. Il trasferimento d’azienda non è escluso tout court, bensì soltanto qualora l’imprenditore in entrata risulti:

  1.  dotato di una propria struttura organizzativa e operativa
  2.  siano presenti elementi di discontinuità che determinano una specifica identità d’impresa.

Pertanto, la successione nell’appalto integra la fattispecie di cui all’art. 2112 c.c. ogniqualvolta il nuovo appaltatore, insieme ai dipendenti addetti al servizio appaltato, acquisisca anche l’organizzazione imprenditoriale costruita e gestita dall’appaltatore uscente, con esclusiva mutazione della titolarità dell’impresa.

Per quanto riguarda invece gli elementi di discontinuità che determinano una specifica identità d’impresa, con Circolare 30 agosto 2016 n. 11, la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro ricorda la nozione di “identità d’impresa” nel diritto comunitario, al fine di delineare, a contrario, il concetto di discontinuità.

In proposito, le direttive europee, in materia di trasferimento d’azienda, stabiliscono che si possa parlare di identità nel momento in cui un’azienda conservi il medesimo “insieme di mezzi organizzati, al fine di svolgere un’attività economica, sia essa essenziale o accessoria”. Ma l’estrema genericità della normativa rischia, però, di aprire la strada ad un contenzioso giuslavoristico.