images45GYBI82Con sentenza n. 24260 del 29 novembre 2016, la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ha sancito la legittimità del licenziamento per giusta causa comminato al lavoratore dipendente che accusa in pubblico il datore di lavoro di comportamenti gravi e infamanti e di aver compiuto degli atti illegali.

Nella fattispecie, durante una riunione sindacale alla presenza di centinaia di persone, il lavoratore dipendente aveva affermato che il datore di lavoro (si tratta di un ente di formazione professionale) aveva simulato l’organizzazione di corsi di formazione che in realtà non si erano mai svolti. Inoltre, tali accuse comprendevano anche la violazione delle convenzioni stipulate per l’erogazione di finanziamenti e l’assunzione presso l’ente di parenti dei dirigenti stessi. Pertanto, gli era stato comminato licenziamento per giusta causa.

In particolare, nel giudizio di legittimità la Suprema Corte ha ritenuto gravemente lesive per l’onore e il decoro del datore di lavoro le affermazioni diffamatorie del dipendente licenziato, poiché tali frasi diffamatorie violano l’art. 2105 del Codice Civile e compromettono irrimediabilmente il rapporto di fiducia che sta alla base del rapporto di lavoro.

Dunque, la valutazione del fatto che l’ente abbia o meno subito un danno patrimoniale effettivo non assume alcun rilievo.

In sostanza, secondo la Corte, l’esercizio del diritto di critica da parte del lavoratore deve sempre avvenire nel rispetto dei limiti di lealtà, correttezza e buona fede. Per tale motivo è stata confermata la legittimità del licenziamento intimato.